Quayola, Pleasant Places Diptych, 2016. Dittico video 4K / Diptych of 4K Videos ©
È stata inaugurata lo scorso 29 settembre a Palazzo Cipolla – durerà fino al 30 gennaio 2022 – la prima personale di Quayola mai organizzata a Roma. Artista romano, classe 1982, nonostante una fama quasi planetaria – le sue opere sono state negli anni esposte negli Usa, in Europa, in Russia, in Corea e in Cina – in Italia finora gli erano state dedicate esposizioni personali soltanto a Bologna, Padova e Modena, rispettivamente nel 2017, 2020 e 2021.
Il percorso di Quayola, ancora studente, parte da Londra, dove, frequentando le lezioni del corso in Digital Arts presso la University of Arts London, viene a contatto con un ambiente più fluido di quello riscontrabile in una città così stratificata e con un passato così ingombrante come la Città Eterna. Inizia così a sperimentare, lavorando, a partire dal 2006, a performance e installazioni audio-visuali.
Le opere esposte a Roma coprono un periodo di attività che va dal 2007 al 2021, restituendo una panoramica dell’opera dell’artista. La mostra infatti propone una serie di video, stampe e sculture allo scopo di comunicare al pubblico quella che è l’essenza della ricerca di Quayola, che non si concentra sull’opera in quanto risultato finale, ma piuttosto documentazione di un processo creativo.
La mostra
Che l’esposizione ospitata da Palazzo Cipolla non sia quella di un artista che utilizza linguaggi artistici convenzionali si intuisce fin dalla prima sala. La prima sezione della mostra, dedicata all’iconografia classica, è infatti inaugurata da un’imponente installazione video, Strata #1 (2008), posta sul soffitto della sala d’ingresso. Il soggetto è la volta dipinta della Chiesa del Gesù di Roma, capolavoro barocco del Baciccio: tra il vorticoso moto dei personaggi che strabordano illusionisticamente dalla cornice, Quayola fa infatti spuntare – grazie alle possibilità offerte dai software di Intelligenza Artificiale – una serie di frammenti geometrici colorati che, accompagnati da effetti sonori, conferiscono all’affresco originale un sapore tutto contemporaneo.
La stessa commistione fra antico e contemporaneo contraddistingue le opere scultoree poste nella prima sala della mostra, ispirate al celebre Laooconte, gruppo scultoreo di epoca ellenistica rinvenuto sulla collina dell’Esquilino nel 1506 e oggi conservato ai Musei Vaticani. Il risultato è Laocoön #D20-Q1 (2016), scultura realizzata in polvere di resina e marmo che presenta la figura di Laocoonte intrappolata in un reticolo di volumi geometrici. Così come per molte delle opere di Quayola, la scultura non è realizzata direttamente dalle mani dell’artista, bensì da un robot industriale in grado di lavorare la materia in base ai dati raccolti tramite un’analisi logaritmica – attuata tramite una scannerizzazione 3D – della scultura stessa. Il compito dell’artista diventa quindi quello di selezionare uno tra i possibili – ed infiniti – risultati del processo creativo di un’intelligenza artificiale, in una sorta di meta-scultura che non vuole raccontare altro se non sé stessa.
Quayola, Laocoön #D20-Q1, 2016. Scultura in polvere di marmo e resina/ Marble-resin Sculpture ©
In mostra è inoltre presentata una serie di stampe a getto di inchiostro montate su alluminio che, in modo simile ai lavori scultorei, reinterpreta iconografie del passato – per esempio, quella di Giuditta e Oloferne, nelle versioni di Caravaggio, Lavinia Fontana, Guido Reni, Botticelli, Mattia Preti, Guercino, Artemisia e Orazio Gentileschi, Lionello Spada e Luca da Reggio – in chiave digitale, lasciando delle estetiche originarie solamente un geometrico e fittissimo scheletro di linee bianche su sfondo nero. Capolavori di Botticelli, Raffaello e Rubens hanno ispirato un’altra serie di stampe in cui dettagli dei quadri sono riproposti in forma scomposta in una tempesta di volumi colorati.
Il non finito e l’osservazione della natura
La seconda sezione della mostra è invece dedicata alle sculture non finite. L’ispirazione in questo caso è l’opera di Michelangelo, che, con i Prigioni prima e con la Pietà Rondanini poi, ha dato vita alla poetica del non finito. Quayola la reinventa attraverso il suo linguaggio, anche in questo caso affidando il processo di realizzazione delle opere a macchine robotizzate, guidate da un’intelligenza artificiale plasmata dall’artista. Il risultato sono forme dal grande pathos, composte da una serie di sottili strati di materia, tra loro sfalsati, che lasciano trasparire la propria natura computazionale.
L’esposizione presenta infine le opere che Quayola ha dedicato alla natura, sulla scia della tradizionale pittura di paesaggio. Due i richiami fondamentali per questa sezione della mostra: da un lato l’esperienza puntinista, che l’artista romano riprende in opere come Effets de Soir o Pointillisme, quest’ultima costituita da installazioni video 4K in cui i paesaggi, inizialmente illeggibili, vengono via via ricomposti grazie a una moltitudine di punti colorati che trovano la loro corretta collocazione all’interno della composizione; dall’altro la tradizione stessa dei pittori impressionisti, in particolare di Monet e delle sue celebri Ninfee, a cui si rifà la serie di video Jardin, in cui colori fluttuano mescolandosi continuamente tra di loro, solo suggerendo l’effetto che l’opera susciterebbe se il movimento venisse improvvisamente interrotto.
Infine, dall’Impressionismo l’ultima delle opere di Quayola presentate in mostra non desume tanto l’estetica, quanto l’approccio immersivo alla rappresentazione del paesaggio e della natura. Si tratta di Remains, installazione costituita da monumentali stampe su alluminio disposte l’una dopo l’altra, fino a comporre un fitto bosco che accompagna il visitatore lungo l’ultima parte del suo percorso di visita. Il coinvolgimento spaziale che contraddistingue questo lavoro rimanda nuovamente a Ninfee, l’opera con sviluppo a 360 gradi che un ormai anziano Monet realizzò per l’Orangerie di Parigi. Le stampe dell’artista romano sono frutto, ancora una volta, di un’attenta osservazione del soggetto, in questo caso di una foresta, e della sua resa grazie ad avanzate tecnologie di scansione. In questo progetto si riassume così in maniera particolarmente efficace la poetica finora sviluppata da Quayola, mirata alla rappresentazione della realtà che l’intelligenza artificiale – in futuro destinata a ritagliarsi sempre uno più spazio sempre più importante nella nostra vita – può offrire. Senza per questo nulla sottrarre alla sensibilità umana, a cui sempre spetta l’ultima parola.