Al Mudec di Milano è in mostra David Lachapelle. Fino all’11 settembre 90 opere indagano, tra estetica e dannazione, il presente e il futuro dell’umanità.
Il percorso si apre con un nudo maschile che dà subito la misura della mostra che sarà. Al centro di tutto l’uomo che, appunto, viene messo a nudo, nel rapporto con se stesso, con l’ambiente e all’interno della società umana.
L’occhio di Davide Lachapelle marchia ogni opera, è il velo che si strappa sul presente e che lascia intravedere il – non troppo rassicurante – futuro che verrà. La rassegna al Mudec rappresenta anche la ricerca artistica di una vita, tra astrazione e concretezza. C’è la vita e la morte, la malattia e i miracoli, le derive mistiche e pop. Tutte quelle turbolenze di Lachapelle che sono rese eterne, ordinate e perfette dal suo obiettivo.
David LaChapelle. I Believe in Miracles è curata da Reiner Opoku e Denis Curti, insieme allo studio LaChapelle. È una retrospettiva con 90 opere – tra grandi formati, scatti site-specific, nuove produzioni e una video installazione – il cui minimo comune denominatore è proprio la vita. L’esistenza umana che si dipana fluida in tutte le sue sfaccettature, specialmente quelle visionarie, oniriche e surreali.
Lachapelle ci offre la sua indagine escatologica: c’è tutto il dolore per i morti da aids, ma c’è anche l’affetto che non si dissolve e ritorna in foto, ricordo e monito di quel che è stato, di quel dolore che al di là del nome che prende, della causa che lo origina, ci accomuna tutti.
Quasi all’ingresso, a tutta parete, campeggia Seismic shift con borse di Louis Vuitton che galleggiano a fianco di squali in un acquario rotto. Un chiaro riferimento a Hirst (come del resto lo sono i medicinali) ma basta allargare lo sguardo per notare anche il cane alla maniera di Koons con le zampe immerse.
L’artista ci ricorda come speso dimentichiamo che le nostre sono vite a termine e che stiamo perdendo la misura umana: non sappiamo gestire il caos, l’avere ci allontana dall’essere. Analogamente troviamo anche delle opere dedicate al diluvio, grande metafora della perdita di tutto ciò che è materiale, della salute, del corpo. Significa trovarsi sul letto di morte con l’ultima possibilità di illuminazione.
Al di là del soggetto specifico, i suoi ritratti fotografici sono mise en place, assimilazioni e reinterpretazioni pittoriche, come il tableau su scala con figura a spirale intorno a un’ascetica Maria.
Lachapelle, attento analista del presente, ci mostra anche il mondo pop. Trovano così posto una serie di ritratti da lui dedicati allo star-system: Madonna, Britney Spears, Michael Jackson, Angelina Jolie, Uma Thurman, David Bowie. C’è anche un omaggio a Kurt Kobain con un modello biondo che lo ricorda e rappresenta in un’insolita Pietà con Courtney Love; ai suoi piedi i dadi a terra recitano Heaven to hell. C’è pure Kim Kardasian nei panni di una Maddalena contemporanea e sensualissima.
Verso la fine troviamo anche le nature morte realizzate alle Hawaii come omaggio a Georgia O’Keeffe, che soggiornò a lungo sull’isola Maui.
La mostra porta con sé quattro decenni di provocazioni e ricerca, di sublimazione e di riscatto, che provano a raccontare il vecchio e il nuovo mondo. Ma soprattutto l’eterna favola della sopravvivenza umana.