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Troppo costoso e avulso dal tessuto culturale. Il Museo Rodin rinuncia alla sede di Tenerife

Auguste Rodin, The Thinker

 

Auguste Rodin, The Thinker
Il Museo Rodin di Parigi ha rinunciato al controverso progetto da 16 milioni di euro per costruire un avamposto a Santa Cruz de Tenerife, città portuale nelle Isole Canarie in Spagna.

La decisione arriva in seguito alle aspre critiche di politici, educatori e figure del mondo dell’arte spagnola che hanno osteggiato il progetto. La parola fine al progetto sarebbe stato posta dalla direttrice del Museo Rodin di Parigi, Amélie Simier, che in una lettera indirizzata a José Manuel Bermúdez, sindaco della capitale di Tenerife e difensore strenuo dell’iniziativa, ha dovuto alzare bandiera bianca.

Nella missiva Simier evidenziava le potenzialità di Santa Cruz de Tenerife come paese ospitante il distaccamento del museo, ma altresì constatava che alcune condizioni al momento ne ostacolavano la realizzazione. In particolare il riferimento è alle “dichiarazioni infelici di una parte del settore culturale, accademico o politico”.

Difatti le autorità di Tenerife avevano formalizzato l’accordo con Parigi un anno fa, nella speranza che il Museo Rodin fungesse da elemento trasformativo per la città, un avamposto culturale altamente attrattivo per i turisti. Il modello, per intendersi, è quello del Guggenheim di Bilbao. Anche la sede era già stata stabilita: un edificio neogotico restaurato nel Parco culturale Viera y Clavijo.

Un’operazione ambiziosa, e anche per questo non certo economica. Tanto che gli elevati costi di realizzazione, uniti al fatto che il museo avrebbe esposto principalmente riproduzioni delle sculture di Rodin, non ha convinto la comunità artistica locale e nazionale. Delle 83 opere che Tenerife aveva intenzione di acquistare 68 erano repliche. É stato inoltre sottolineato come non ci sia alcun legame artistico o biografico con l’artista che indichi Tenerife come la sede adatta a un distaccamento del Museo Rodin. La sensazione era che si trattasse di una mera operazione commerciale, poco coerente con il territorio e dall’alto rischio di fallimento. Per questo più di 3.000 lavoratori dell’arte hanno firmato una petizione chiedendo la fine del progetto.

E alla fine hanno raggiunto il loro obiettivo. Del resto la possibilità che Tenerife diventasse una vetrina internazionale per la scultura non era sufficiente a giustificare un’operazione culturalmente avulsa dal tessuto artistico locale. Il quale richiede investimenti mirati, indirizzati diversamente a loro e non ha un investitore straniero che solo eventualmente potrebbe illuminare, in maniera indiretta, la creatività presente sull’isola.

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