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L’arte creata dall’AI: il problema del diritto d’autore

Si parla molto, oggi, del rapporto tra arte e intelligenza artificiale (AI). Anche nel campo del diritto, ci si pongono diverse domande: l’opera prodotta da sistemi di intelligenza artificiale è tutelata dal diritto d’autore? E, eventualmente, a chi va riconosciuto tale diritto? All’inventore del software, al suo proprietario o al suo utilizzatore? La legge italiana sul diritto d’autore (Legge 633/1941) non disciplina ancora in modo esplicito l’ipotesi di opere generate da computer. Tuttavia, recentemente, sono intervenute sul tema le prime decisioni dei Giudici, sia nazionali sia stranieri. Inoltre, alcuni ordinamenti hanno adottato specifici atti normativi in materia di AI generativa. Tuttavia, le soluzioni che si sono individuate sono tra loro diverse. Vediamole.

IL CASO ITALIANO DEL FIORE A SANREMO
Partiamo con l’Italia. Come si è detto, il nostro Paese non ha ancora una legislazione specifica per il diritto d’autore delle opere computer generated. Però, il tema è stato affrontato dai Giudici della Suprema Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 1107/2023. Il caso riguarda l’immagine di un fiore, utilizzata nel 2016 come scenografia per il Festival di Sanremo. L’utilizzo dell’immagine sarebbe però avvenuto in violazione del diritto d’autore: infatti, il Tribunale di Genova ha condannato la società televisiva organizzatrice del festival a risarcire i danni nella misura di € 40.000,00 in favore della creatrice dell’opera figurativa. La decisione presa nel merito, poi confermata dalla Cassazione, è interessante, perché l’opera in questione era stata realizzata mediante l’uso di un software. In particolare, l’immagine sarebbe stata il risultato dell’elaborazione di algoritmi matematici, che ne avrebbero determinato «forma, colori e dettagli». Proprio per questo motivo, la società televisiva ha sostenuto che il fiore non potesse ritenersi un’opera dell’ingegno tutelata dal diritto d’autore, perché la pretesa autrice si sarebbe solamente limitata a scegliere «l’algoritmo da applicare» e ad «approvare a posteriori il risultato generato dal computer». Tuttavia, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’utilizzo di un software per la produzione di un’opera artistica «è pur sempre compatibile con l’elaborazione di un’opera dell’ingegno, con un tasso di creatività che andrebbe solo scrutinato con maggior rigore». Detto altrimenti, l’opera creata da un computer è tutelabile dal diritto d’autore purché – nel processo di creazione dell’opera – intervenga un apporto umano creativo. In questo caso, nella realizzazione del fiore c’è stato un intervento creativo umano importante: ed è questo apporto umano che, secondo la Cassazione, giustifica la tutela d’autore. Infatti, nelle righe successive, la Cassazione ribadisce il principio secondo cui, per riconoscere il diritto d’autore ad un’opera di AI, è necessario «verificare se e in qual misura l’utilizzo dello strumento [abbia] assorbito l’elaborazione creativa dell’artista che se ne era avvalsa». Se ne deduce, quindi, che, forse, nel nostro ordinamento l’opera prodotta dalla macchina, senza alcun intervento umano, non sarebbe tutelata dal diritto d’autore.

IL CASO STATUNITENSE DELLA CREATIVITY MACHINE
Un’altra sentenza desta interesse. Si tratta di una decisione presa dalla District Court for the District of Columbia, il 18 agosto 2023 (Civil Action No. 22-1564; Giudice: Beryl A. Howell). Un cittadino statunitense ha chiesto al locale ufficio per il Copyright di poter registrare una nuova opera d’arte figurativa. Tale opera era stata generata da un computer denominato “Creativity Machine”, di cui il richiedente era proprietario. Quindi, nella richiesta, il computer era indicato come autore dell’opera; invece, il proprietario del computer era indicato come titolare del diritto d’autore. L’Ufficio ha però negato l’iscrizione dell’opera e così è scaturita la vicenda giudiziaria. La sentenza della Corte Distrettuale afferma più volte il principio secondo cui in nessun caso i Giudici degli Stati Uniti hanno riconosciuto il copyright a lavori che non sono stati creati dall’uomo. A supporto di tale affermazione, il Giudice fa riferimento ad un precedente in cui è stata negata tutela autorale ad un selfie scattato da una scimmia (il c.d. monkey selfie); cita, inoltre, un precedente in cui è stato negato il copyright ad un giardino, in quanto bellezza naturale. In entrambi i casi, secondo la Corte, il lavoro non sarebbe frutto dell’opera umana. Perciò, anche l’opera creata da un computer non può essere tutelata dal diritto d’autore: la Corte, quindi, ha confermato il provvedimento di diniego assunto dall’Ufficio per il Copyright. C’è un passaggio, nella decisione americana, davvero centrale per il tema che ci occupa. Un passaggio che individua uno dei nodi più problematici della questione. Il Giudice, infatti, osserva che il rapporto tra arte e intelligenza artificiale pone una questione preliminare e fondamentale, quella di stabilire quanto apporto umano («how much human input») sia necessario per stabilire se colui che utilizza il sistema di AI possa ritenersi l’autore dell’opera finale. Aggiungiamo una riflessione. Non è solo una questione di quantità di apporto umano, ma anche di qualità, di tipologia, di intervento umano. Va chiarito, insomma, quale interazione dell’uomo con la macchina conferisca la qualità di autore del risultato finale. Va chiarito, soprattutto, se chi abbia generato o programmato la macchina, oppure chi si limiti a scegliere un risultato finale (ad esempio, l’immagine più gradevole o più interessante), siano autori di quell’opera.

IL CASO CINESE DELLA MACCHINA DREAMWRITER
Una recente sentenza della Repubblica Popolare Cinese ha dato una soluzione diversa alla questione del copyright di opere create da AI. Il caso cinese non riguarda un’immagine, ma un testo scritto, composto interamente da un computer (denominato Dreamwriter) e pubblicato in un sito web. Lo stesso testo è stato copiato e pubblicato, ad opera di un altro soggetto, anche in un diverso sito internet. Il 24 dicembre 2019, il Tribunale Popolare del Distretto di Shenzen Nanshan ha stabilito che tale seconda pubblicazione del contenuto è avvenuta in violazione del diritto d’autore, poiché, anche se il testo è stato composto dalla macchina Dreamwriter, ciò non toglie che esso sia tutelato dalla legge sul copyright. La motivazione della decisione è interessante. I Giudici cinesi osservano che, in fondo, anche il testo forgiato da un computer è il risultato di un’attività umana. Secondo la Corte, nelle opere tradizionali l’autore sceglie come realizzare l’opera durante tutto il processo di realizzazione dell’opera stessa: creatività e creazione sono, quindi, sincronizzate. Diversamente, invece, nel caso dei sistemi di AI, l’autore prima decide come si formerà l’opera (e ciò avviene nella fase di programmazione del software) mentre, in un secondo momento, crea effettivamente l’opera (mettendo in azione il software): in questi casi, quindi, creatività e creazione non sono sincronizzate. Quel che sottolineano i Giudici cinesi è che comunque il risultato fornito dalla macchina è pur sempre l’esito di un’attività intellettuale umana, perché il computer non agisce per autocoscienza, ma riflette le scelte dei suoi sviluppatori. La soluzione offerta dalla Corte cinese, quindi, è di segno diverso rispetto a quelle viste in precedenza. A bene vedere, però, il ragionamento di fondo dei giuristi cinesi non è in realtà così dissimile rispetto a quello dei Colleghi occidentali. Infatti, anche la sentenza cinese riconosce che la tutela autorale può essere accordata perché vi si riconosce comunque una forma di intervento umano. Quel che, però, cambia rispetto alle decisioni “occidentali” è il risultato del ragionamento, perché la sentenza cinese fa una scelta ben precisa rispetto alla tipologia o qualità dell’intervento umano richiesto per il copyright, riconoscendo che è un apporto sufficiente e rilevante anche quello di chi abbia sviluppato il sistema di AI. È curioso osservare, poi, che l’impostazione cinese non è così diversa dalla soluzione recentemente adottata nel Regno Unito. Infatti, la legge britannica sul copyright disciplina l’ipotesi dell’opera prodotta da sistemi di intelligenza artificiale e, proprio come in Cina, la tutela d’autore è riconosciuta in favore del creatore della macchina.

UNA RIFLESSIONE CONCLUSIVA.
Esistono, quindi, due possibili soluzioni al problema del diritto d’autore delle opere AI generated. Due soluzioni che, in un certo senso, riflettono due visioni diverse del ruolo umano nel processo creativo dell’opera d’arte.
Una prima impostazione nega la tutela autorale a tutte le opere in cui non vi sia un intervento umano effettivamente creativo del risultato finale. In tal caso, resta da chiarire quanto e quale apporto dell’uomo renda l’opera umana e, quindi, tutelabile. Un problema tutt’altro che semplice da risolvere.
Altri, invece, propongono un’interpretazione diversa, secondo cui anche l’arte computer generated è tutelata dal diritto d’autore. E ciò perché, secondo questa visione, anche tali opere sarebbero il frutto, ancorché mediato, di un’attività umana: il computer è progettato da umani, sfrutta input e database umani e genera risultati per umani.
In fondo, i princìpi del diritto d’autore riconoscono tutela a ciò che è creato dall’uomo: i software di intelligenza artificiale sono creati dall’uomo. Di conseguenza, si può sostenere che il diritto d’autore debba essere riconosciuto al creatore della macchina, il quale può eventualmente trasferire tale diritto di sfruttamento al proprietario o all’utilizzatore di tale software. Vedremo, ora, quali soluzioni saranno scelte dal Legislatore europeo, che si appresta ad emanare un nuovo regolamento in materia.

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