
L’artista Bruno Ceccobelli propone un’altra Storia dell’Arte metafisica, comprensibile solo dopo una rinascita spirituale, attraverso i suoi ricordi provocatori
Uno due tre quattro
passa un gatto quatto quatto.
Quattro tre due uno
era un gatto di nessuno.
(Toti Scialoja, dal libro “Versi del senso perso”)
Non c’è Pace: c’è sempre più inquietudine anche tra il mondo astratto spirituale dell’arte e il mondo quantitativo del mercato dell’arte. Chi è l’artista più grande e famoso, quello conosciuto, o quello sconosciuto? “Sono stato eletto senza meriti […] mi farò servo di tutti voi”. Questo in sintesi è quello che Papa Leone XIV ha detto dopo la sua intronazione. Falsa modestia? Oppure onestà intellettuale?
L’arte è un metalinguaggio come la religione, opera esclusivamente sul piano metafisico; ogni grande artista soffre per il mercato delle sue opere, vede ciò come una imposizione, una deviazione faticosa.
L’arte non deve “rendere” economicamente, né deve sottostare a degli elenchi. L’arte deve sconvolgere gli animi! Del resto, nessuno comprerebbe una poesia per poi sperare di rivenderla a buon prezzo, o rivendere domani un pensiero filosofico, o tesaurizzare oggi una vecchia ideologia!
Ogni grande artista non si preoccuperà mai se sarà accettato dai suoi collezionisti; egli onestamente svolge una “missione” di soccorso animico, primariamente perché obbligato da una sua sottomissione al bello.
Il mercato dell’arte fa classifiche di artisti, non per la qualità, ma per fini di lucro, a seconda del loro “rendimento orecchiato” imbonisce, plagia, specula, salvo poi di conseguenza esserci chi sale e chi scende; ma in verità, in verità vi dico: “Le “opere” si vendono da sole per il loro turbamento“.

Si muore solo una volta, ma si nasce due volte; il mistico Georges Gurdjieff* diceva che chi non nasce anche ad una vita spirituale, quando morirà si scorporerà come il rottame di una vecchia macchina.
Rinascere nella bellezza è vivere nell’eros divino; dal “caos” il creatore, attraverso l’eros, fa il cosmo per riconoscersi, così l’artista crea il capolavoro per glorificarsi. Ebbene il segreto di un oggetto artistico è nella sensibilità dell’animo dell’artefice, nella sua predisposizione caratteriale ad essere fuori dagli schemi e dalle mode, votato alla ricerca (eros) della perfezione trascendentale della “bellezza”.
“Dedalus, Ritratto dell’artista da giovane” (titolo del romanzo di James Joyce): nel 1975 ero all’inizio di una ascesa artistica e tra i molteplici “turbamenti” dell’età, coinvolto nella ricerca edonistica di un’identità lampante, uno pseudonimo… era il desiderio di una seconda nascita “nominale” più facile da ricordare e che favorisse una mia privacy.
Memore com’ero dei miei amori estetici quali Picasso (Pablo Ruiz), Marchand du Sel o R. Mutt o Rrose Sélavy (Marcel Duschamp), Andy Warhol (Andrew Warhola Jr.), Man Ray, (Emmanuel Radnitzky)… per arrivare ai miei colleghi ausoniani** Nunzio (Nunzio di Stefano), Pizzi Cannella (Piero Pizzicannella).
Infarcito dei miei studi teosofici-alchemici, volevo essere un iniziato devoto e così scelsi un nome simbolico proprio delle pratiche trasmutative per la Grande Opera, della prima fase alchemica, la nigredo: “l’uccello nero” ossia il corvo.
Suffragato e affezionato com’ero alla canzone dei Beatles “Blackbird”, divenni Uccello Nero… stampai un timbro con il sigillo U. N. e per un po’ mi firmai così, naturalmente portai scompiglio e avversioni tra tutti: amici, parenti, colleghi e soprattutto galleristi.
Io, convintamente, ebbro del nuovo battesimo, affrontai la mia prima litigata e infuocati scambi epistolari con il mio primo gallerista romano Ugo Ferranti***.
L’uccello nero
salta leggero,
si chiama merlo
senza saperlo.
(T. S.)

Nell’estate del 1984, in una “vacanza lavoro”, mi ritrovai catapultato in un ritorno al passato, scoprii un presepe naturale, inurbano poco distante da Rieti, al confine laziale con l’Abruzzo, a Tonnicoda, una frazione nel comune di Pescorocchiano. Tonnicoda mi incuriosiva già dai racconti: un paesello dal nome mitologico e misterioso di non facile decifrazione… un insieme scombinato di caseggiati tufacei medioevali arroccati intorno ad una chiesa e ad un palazzo nobiliare… quello che ci accolse.
Un paesello abbandonato d’inverno, quasi disabitato d’estate, le auto potevano accedere solo allo zoccolo del suo cucuzzolo, in una piazzola sterrata. Sotto ai nostri piedi sudati, stradine rustiche, serpentine ripide a prova di schiena d’asino, in un ambiente selvoso isolato sperduto simile all’Aspromonte… si respirava e si vedeva solo un “verde avventurina”.
L’idea stravagante di quei giorni di riposo creativo, era stata di Gian Enzo Sperone****, il gallerista internazionale e a quel tempo con uno spazio romano; uno dei suoi capricci estetici era quello di prendere in affitto palazzi settecenteschi, ispirato dall’amico, famoso collezionista d’arte contemporanea e in particolare della Pop Art romana, il Barone Giorgio Franchetti*****, che aveva anche la passione del restauro conservativo e, quando poteva, comprava in luoghi isolati palazzi aristocratici da restaurare a suo piacere, per poi rivendere.


A Tonnicoda, in quella bellissima magione offertaci da Gian Enzo (il gallerista di alcuni di noi ausoniani) per l’occasione oltre a me e a mia moglie c’erano il mio amico Gianni Dessì e sua moglie Marta; l’edificio, poco appariscente fuori, all’interno era arredato con mobili di antiquariato e decorato con affreschi d’epoca.
In quelle ariose e fresche ampie stanze piene d’evocazioni secolari mattonate di cotto, lavorammo tutta l’estate assai lentamente, in serena gratitudine, ma con buona lena, sapendo che, prima di noi lì, il pittore americano Cy Twombly, aveva realizzato varie opere…
Sere, ma quali sere,
quali deserte attese,
quali rose severe
in azzurro paese.
Chi detesta l’estate
sente pungere l’erbe
e confonde le date
in fondo al verde debole.
(T. S.)

Sul finire degli anni Settanta, a Roma, conobbi, prima per la notorietà e poi di persona, due bravi artisti bolognesi, l’uno all’opposto dell’altro: luna chiara, luna scura, Luigi Ontani e Vasco Bendini (1922-2015).
Alla fine di quell’estate così insolita, incontrai a Roma l’artista Bendini; con Vasco ci legava l’amicizia in comune sia con la mia professoressa di Liceo Artistico, la pittrice e ceramista Simona Weller e sia con il suo compagno, poeta e critico d’arte Cesare Vivaldi, nonché condividevamo un ideale di conforto esistenziale e artistico con il maestro dello spazio-luce, suo insegnante a Venezia, Virgilio Guidi.

Bendini, un artista solitario, introverso, umorale, sfuggente ma al contempo eclettico, riversò il suo talento in molteplici esperienze: dopo l’Accademia dagli iniziali ritratti e paesaggi, dipinse alla Casorati; passò poi all’informale per amore di Wols e Fautrier; negli anni cinquanta ci fu il suo pittorico “Ciclo dei Diluvi”; poi le “teste zen” eseguite con colpi in punta di pennello; in seguito una piccola parentesi, negli anni sessanta, con azioni concettuali e “poveriste”; e poi ancora la sua definitiva scelta “naturalistica”: una pittura Impressionista Astratta.

Vasco, a Roma, ebbe un solo grande gallerista, che lo sostenne per un decennio, Bruno Sargentini, il papà di Fabio. Bendini, da artista neoplatonico, amò relazionarsi con il teologo tedesco, il domenicano del nulla, Meister Eckhart (1260-1328): “La chiarezza di Dio è inesprimibile”, “Dio è un non ente e tende al non-ente”, “Crea ed è il fine degli enti”: il nostro compito dovrebbe essere l’assoluto distacco dalle cose terrene, per scioglierci in Dio e rinunciare a se stessi oltre il pensiero, inabissarsi in fondo all’anima; è in queste sante frasi che rivedo tutte le pitture meditative e umbratili del nostro mistico pittore bolognese.
Vasco non fece mai una pittura per piacere a qualcuno, né per vendere; obbedì solamente allo spirito del suo candore, dipinse per il dono del bel vuoto, tanto che tutta la sua figura fisica risplendeva di un’intimità “piena”, coinvolgente; non appartenne a nessuna corrente né a classifiche mercantili, non lo vidi mai a nessuna première mondana.

Quando andai a conoscerlo, nella sua casa studio condivisa con Marcella, sua moglie, ancella e musa, mi ritrovai in un atelier piccolo se paragonato all’enorme stima che avevo per lui e per il suo successo.
Quando la talpa vuol ballare il tango
il salone si svuota, ed io rimango.
(T. S.)
L’arte “vera” non ha bisogno di prezziari o graduatorie perché essa rimane in eterno.
*Georges Ivanovi Gurdjieff (1866-1949) armeno, filosofo esoterico e scrittore mistico; i suoi insegnamenti partivano dal sufismo e dalle pratiche delle danze sacre dei Dervisci. Combinò vari saperi: Buddhismo, Induismo e Cristianesimo, un sincretismo molto vicino alla Teosofia. Riscoprì l’Enneagramma, un antico sistema numerico psicologico basato sul numero nove (personalità diverse), per indagare l’animo umano.
**Ausoniani si riferisce ad un gruppo di artisti romani che dalla metà degli anni Settanta hanno lavorato al Pastificio Cerere in via degli Ausoni ai numeri 3 e 7, tutti ex allievi o frequentatori di Toti Scialoja; tra più nominati oltre a me Gianni Dessì, Giuseppe Gallo, Nunzio, Piero Pizzi Cannella, Marco Tirelli…
***Ugo Ferranti, gallerista di livello internazionale, amico-collaboratore del gallerista parigino Yvon Lambert, esponeva artisti quali: oltre a 4 ausoniani, Niele Toroni, Daniel Buren, Cy Twombly, Sol Lewitt, Jannis Kounellis, Giulio Paolini, Maurizio Mochetti, Christo…; ecco che al mio povero gallerista, con quel mio pseudonimo “Uccello Nero”, scatenai un forte dissenso… ora, col tempo, gli chiedo venia perché devo molto alla sua perspicacia… infatti dieci anni più tardi apparivo nel Dizionario Enciclopedico Zanichelli delle Arti, Letteratura e Scienza tra i nomi di Cecco Angiolieri, Cecco D’Ascoli e tra i pittori Cecco Bravo e Cecco del Caravaggio.
****Gian Enzo Sperone, rinomato gallerista internazionale con gallerie da Torino a Roma fino a New York, negli anni Ottanta mi propose di realizzare con lui tre personali (due a Roma e una a N.Y.). Un personaggio estroso Gian Enzo, elegantemente innamorato di sé, ama stupire, pieno di manie, gesti eccentrici e amori passeggeri; nel periodo in cui lo frequentai amava fare classifiche di artisti e aizzare gli uni contro gli altri, del resto “in nomen omen”: Sperone.
*****Barone Giorgio Franchetti Jr. (1920-2006) per tradizione di famiglia fu un grande ed eclettico collezionista (da ricordare a Venezia la Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro creata da un suo nonno), oltre alle opere d’arte e alle macchine d’epoca, collezionava dimore nobiliari e terreni. La sorella di Giorgio, Tatiana, fu moglie del famoso artista Cy Twombly (vedi il mio precedente articolo “L’era dell’Arte Elettrica”).













