Un florilegio di opening e di esposizioni in gallerie, musei, spazi culturali e fondazioni: biglietti da visita per la Settimana dell’Arte 2023. Ecco alcuni hightlights
Ann Veronica Janssens e la sua retrospettiva “Grand Bal” è senza dubbio la più “sexy” tra le mostre istituzionali di questa stagione milanese, aperta pochi giorni fa al Pirelli HangarBicocca. Qui, per la prima volta nella storia dello spazio, l’artista inglese legata idealmente alla corrente statunitense del Light & Space, ha scelto di aprire – nel vero senso della parola – l’Hangar, lasciando idealmente entrare la porosità della città – come ha spiegato lei stessa – dai portoni delle navate, e di creare su loro, e per loro, una serie di nuovi interventi mossi dal vento: Waves.
“Grand Bal”, anche per questo, si pone come uno spazio di esperienza dove la luce è amica e dove il rapporto in prima persona con le opere – percorsi accidentati tra sassi (La pluie météorique), lampade stroboscopiche, una grande sala nebbiosa (MUHKA, Anvers) e un paio di specchi frammentati e colorati (Magic Mirrors – Pink & Blue), altalene e blocchi di vetro che mimano blocchi di ghiaccio – continua l’idea di un’arte che vuole sfidare i limiti della percezione e che si fa strumento di gioco.
Una mostra agli antipodi rispetto al clima che si respira nell’altra fondazione per l’arte contemporanea milanese più conosciuta: Prada. Qui, come vi abbiamo raccontato, tra le cere anatomiche e il video di David Cronenberg è solo contemplazione. Un po’ come accade per Bill Viola a Palazzo Reale.
La contemplazione richiede tempo e dunque prendetevi tempo per “Lascia stare i sogni” di Yuri Ancarani, al PAC, prima retrospettiva dell’artista romagnolo naturalizzato milanese che segue “Atlantide”, l’esposizione bolognese al MAMbo che mostra il making of dell’omonimo film e progetto che Ancarani sta portando avanti – dal 2017 – a Venezia.
Al PAC, invece, troverete Il Capo, Piattaforma Luna, Da Vinci, gli ormai “storici” video dedicati al mondo del lavoro, oltre a The Challenge, e alla nuova produzione dal titolo Il popolo delle donne: un incontro generazionale con la psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi ambientato in un cortile dell’Università degli Studi di Milano, che è anche vincitore della ventesima edizione del Premio Acacia.
Alla Sala delle Cariatidi, di nuovo a Palazzo Reale, Michelangelo Pistoletto festeggia i suoi 90 anni a Milano con “La pace preventiva” e una serie di opere che hanno scritto la storia dell’artista nato sotto il cappello dell’Arte Povera. Qui, in uno dei suoi labirinti di cartone, il percorso si snoda attraverso le icone della carriera dell’artista, dalla Venere degli stracci al grande tavolo Love Difference, oltre ad una serie di Quadri Specchianti e al un modello della Mela Reintegrata, la cui versione urbana – di fronte alla Stazione Centrale – è diventata, che lo si voglia o no, parte del paesaggio urbano.
Anche le gallerie, come ben sappiamo, da diverso tempo propongono programmazioni di artisti ben istituzionalizzati, in tempo di art week ancora di più. Vi abbiamo raccontato della consacrazione milanese di Kiki Smith da Raffaella Cortese, mentre Aldo Mondino da Bulding continua la sua “ascesa” postuma; la coppia Vlatka Horvat e Tim Etchells
con “Same River Twice”, una riflessione su spazio e ripetizione è in scena da Renata Fabbri, e a proposito di ambiente Elmgreen & Dragset e John Armleder sono da MASSIMODECARLO con “Room Service”, che ripercorre nelle sue sale l’attenzione del duo scandinavo e dell’artista svizzero per gli ambienti, in senso estetico e sociale. A proposito di spazi è però Sol Calero, artista venezuelana nata nel 1982 e che oggi vive a Berlino, l’autrice di un perfetto progetto site specific per gli spazi della galleria Francesca Minini. Attraverso i colori dell’America Latina e delle sue tipicità architettoniche – mosaici colorati, frangisole in terracotta, colonnati – e una potente natura che sboccia anche tra le macerie, formando quel che Gil Clement ha identificato come “Terzo Paesaggio”, Sol Calero installa a Milano il cortile della sua Casa Encontrada. “Casa Encontrada”, secondo l’idea dell’artista, non è né un edificio abbandonato né una rovina: è semplicemente un luogo che ha cessato di esistere ma che non per questo ha perso la sua potenza, il suo potente immaginario che si scorge dietro la riappropriazione dell’architettura da parte del verde.
Oltre l’aspetto affascinante della struttura, i colori accesi e la capacità di trasformare la galleria, Sol Calero opera sottilmente un’operazione critica e politica: fuggire dalle indicazioni standardizzate del presente (dell’abitare, del modo di vivere e del condizionamento di pensieri e azioni) verso una riappropriazione o una rivalutazione dei propri spazi vitali, della costruzione di ambienti adatti al proprio sentire. E, soprattutto, lontani dalle ideologie abitative (normative) della modernità.
A proposito di una rilettura non convenzionale della natura (e della pittura) vale la pena una visita alla Galleria Monica De Cardenas, dove è in corso la personale dell’artista sudafricana Georgina Gratix.
Attraverso venticinque tele l’artista ci offre nature morte che traboccano di colore, a diventare altorilievi per raccontare composizioni di fiori, impressioni a grandezza naturale di una foresta tropicale – il dipinto Friends and Friends of Friends, studi in scala 1:1 di uccelli dai colori forti o, ancora, ritratti che ricordano La Logica della Sensazione associata a Francis Bacon, tra cui quelli di Lady Diana, figura mitica che Gratix acida – si direbbe “passa al vetriolo” – o altri che sfidano le leggi di gravità per un impiego smodato di materia pittorica a formare paesaggi anatomici che diventano perfette metafore della morfologia di territori. Decisamente una contemporanea forma di pittura “materica” che colpisce.
Infine, un paio di spazi non convenzionali che in questi giorni si riempiono di arte: il primo è Zazà Ramen, il noto ristorante giapponese di Brera guidato dallo chef Brendan Becht, che due volte all’anno invita un artista a “ridisegnare” le proprie pareti. Stavolta è l’invito è andato a Michele Lombardelli – in collaborazione con la galleria A+B di Brescia, che ha installato per l’occasione una pittura su tessuto che ricorda le poetiche “concrete” degli anni ’50: astrazione e geometrie pure, senza aderenze con le forme della natura che – però – è in grado di riscrivere la percezione dell’ambiente.
A Palazzo Borromeo, nell’ormai tradizionale progetto espositivo curato da Law is Art! di LCA Studio Legale – questa volta in collaborazione con Antonini Milano, ARTE Generali e Apice – ha aperto proprio ieri sera Stefano Arienti con le sue “Meridiane”. Si tratta di quaranta opere realizzate durante il biennio della pandemia su carta da pacco bianca o marrone, dai colori vivissimi, che per la prima volta vengono esposte tutte insieme, parzialmente sovrapposte, a formare un’unica installazione che abbraccia tutto il perimetro del salone e aggiunge un’altra luce a irradiare lo spazio.
Dulcis in fundo un progetto che ci riguarda da vicino, visto che si tratta di macchine. Sì, proprio (EX) automobili. Flavio Favelli ne ha portate tre allo spazio LoroMilano, all’Isola, in un progetto speciale per la Milano Art Week realizzato in collaborazione con Francesca Minini e con il supporto della Fondazione Pietro e Alberto Rossini. Una Jaguar, una BMW e una Fiat 500 sono le protagoniste sulle quali l’artista è intervenuto con certosine pitture replicanti adesivi degli anni ’80 e ’90 o inserti di lamiera. Scrive Favelli nel testo che accompagna questa mostra perfectly specific, nello spazio che ospita anche il murale che lo stesso artista aveva realizzato in occasione di BienNoLo 2021: “La macchina, più potente della rivoluzione, seduce ogni classe; è un processo epico inarrestabile, dove il mito-traguardo è come la luce dei suoi fari, illumina sempre il prossimo chilometro. La tecnologia della macchina continua il suo cammino verso la tecnologia della macchina e la sorpassa, anche se si chiama ancora ferro“. Considerando che decisamente pochi artisti nel corso dell’ultimo secolo hanno utilizzato la più comune protesi tecnologica dell’uomo (a proposito basti ricordare Crash, di James G. Ballard) come soggetto-oggetto della propria arte, forse è il caso di scoprire questo risultato.