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Damien Hirst cavalca l’epica nella sua mostra veneziana. Critica della Ragion del Fantasy

Damien Hirst palazzo grassi venezia Damien Hirst, Hydra and Kali (two versions), Hydra and Kali Beneaththe Waves(photography Christoph Gerigk). Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017

Hirst - ArtsLife

Non ho ancora visto dal vivo la mostra veneziana di Damien Hirst in corso a Palazzo Grassi. Eppure la recensione scritta dalla nostra Marta Pettinau (leggi qui) mi offre lo spunto per alcune considerazioni. Sono semplici annotazioni, di carattere teoretico, sul lavoro e sulla poetica di Hirst. L’antefatto è che Damien si è inventato una lunga storia sui bordi della quale ha cesellato i suoi lavori. Il carattere di concettualismo figurato è da sempre la cifra nella ricerca di questo artista inglese. Questa volta però le sinapsi attive, tra l’immaginazione e la realizzazione materiale delle opere, rischiano di produrre un cortocircuito d’avvitamento e avvilimento.
La Pettinau cita giustamente il carattere omerico di questo maestro. La sua incontrollata e bulimica tendenza narrativa. Hirst in questa occasione ha inventato una lunga e complicata allegoria. Quasi che la creazione dei suoi manufatti artistici fosse sottoposta all’obbligo, la necessità o il dovere d’un rapporto causale con l’immaginario.

Damien Hirst palazzo grassi venezia
Damien Hirst, Hydra and Kali (two versions), Hydra and Kali Beneaththe Waves(photography Christoph Gerigk). Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017

Ecco la storia di pura fantasia: “Tutto ha inizio con una leggenda: tra il I e il II secolo d.C., uno schiavo affrancato originario di Antiochia, Cif Amotan II, sfrutta la sua ricchezza per accumulare oggetti, ori, rarità della natura e opere d’arte da tutto il mondo. Decide poi di trasferire la sua eclettica quanto preziosa collezione su un’isola nell’Oceano Indiano, dove aveva fatto erigere un tempio dedicato al dio Sole. Ma il vascello – chiamato Apistos, ‘incredibile’ – affonda prima di arrivare a destinazione, trascinando nelle profondità del mare il suo carico di incommensurabile valore. Con il passare dei secoli, la sua esistenza diventa una diceria, finché non viene riscoperto nel 2008 al largo della costa orientale dell’Africa. Ed ecco che entra in scena Damien Hirst che decide di finanziare le operazioni di recupero e, infine, di esporre al pubblico l’enorme tesoro riportato alla luce nei 5mila metri quadri distribuiti tra Punta della Dogana e Palazzo Grassi”.

Damien Hirst palazzo grassi venezia
Photographed by Christoph Gerigk

La prima cosa che viene in mente -dopo aver letto la trama di questo Fantasy– è la strana, direi indebita, correlazione tra una scultura e la sua storia. Quasi che il piano della ricerca artistica si trasli -dalle soluzioni estetiche, di aisthesis- al senso pseudo-filosofico della sua esistenza. Perché è necessario spiegare l’origine dell’arte? Eppure Hirst ha lavorato raggiungendo spesso un buon risultato, nella grammatica e sintassi dispositiva di materia, forma e colori. Almeno così sembra osservando le foto del reportage.

Perché allora Damien si accanisce nel costruire un orizzonte immaginifico alle sue opere? Mi risponderete che per lui l’opera comprende l’insieme del manufatto e della storia inventata. Eppure, insisto, proprio dentro questo meccanismo teatrale si nasconde la perdita di aisthesis. Nella “Critica del Giudizio” Kant spiega con lucidità che “quando l’arte, adeguata alla conoscenza di un progetto possibile, si limita ad eseguire le operazioni necessarie alla sua realizzazione, essa è meccanica”.

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Photo | IG paolakikki

In effetti il progetto hirstiano assomiglia molto al back stage di un colossal hollywoodiano. Prosegue Kant: se invece l’arte “ha per scopo immediato il sentimento di piacere, prende il nome di arte estetica. Questa può essere o arte piacevole o arte bella. Nel primo caso lo scopo è di associare il piacere alle rappresentazioni come semplici sensazioni, nel secondo alle rappresentazioni come modi di conoscenza”.

In sostanza la sola percezione di un’opera, a prescindere dalla sua stessa spiegazione, dovrebbe essere in grado di produrre delle rappresentazioni come “modi di conoscenza”. Per il filosofo tedesco, “l’arte bella è una specie di rappresentazione che ha il suo scopo in se stessa e che, pur senza scopo, promuove la cultura delle facoltà dell’animo, in vista della comunicazione in società”. Come dire che non ha bisogno di fondamento storico e nemmeno di farsi pubblicità poiché in un certo senso è essa stessa l’essenza della storia e della pubblicità. Dove sta il carattere oggettivo in sé e universalmente valido dell’arte bella? Spiega Kant: “La comunicabilità universale d’un piacere, già nel suo concetto, implica che il piacere non dev’essere di godimento, da semplice sensazione, ma di riflessione”!!!

Ora il progetto di Hirst letto sotto questo punto di vista resta appunto un progetto. Una sorta di scenografia animata. Vuole colpire l’attenzionalità con altro rispetto all’opera in sé e all’utilizzo del Giudizio riflettente. Mentre per Kant “l’arte estetica, in quanto arte bella, adopera come criterio di misura il Giudizio riflettente e non la sensazione”. Ciò che colpisce in questo teatro hirstiano è che la sua innata propensione a rappresentare più che creare si è nel tempo modulata lasciando sempre più spazio alla creazione e utilizzando invece il palcoscenico come cornice narrativa.

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Damien Hirst, The Severed Head of Medusa
Image: Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017

Nella sua produzione passata avveniva l’esatto contrario. Dalle pillole scolpite e colorate, farmaceuticamente significanti, allo squalo in formaldeide sino ai teschi sommersi da diamanti, lo “spot” filosofico prevaleva sulla rappresentazione. La concettualità delle opere era in un certo senso la struttura fondante delle stesse. Il giudizio concettuale sommergeva quello riflettente.

Lo stesso accade in Maurizio Cattelan quando sostiene che vuole tornare a dipingere o addirittura smettere di fare arte. Il salto mortale del capitalismo consumista però infanga, o quanto meno cosparge di impurità, queste finte evoluzioni. In realtà ogni epoca ha l’arte che si merita. Sia Hirst che Cattelan passeranno alla storia come grandi maestri di una civiltà arrivista, egocentrica e soffocata dal senso dell’avidità. Mentre ora sull’orizzonte sta apparendo altro. Valori diversi. Non migliori né peggiori. Semplicemente diversi. La ricerca della classicità, il ristabilirsi di un orizzonte del sacro, la necessaria redistribuzione delle risorse e una vita giocata più sullo spirituale che il materiale. Gli ultimi colpi di coda dell’ego-consumismo ci regalano -dunque- delle poderose sterzate di senso per questi maestri di un post-post-capitalismo giunto inesorabilmente al capolinea.

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Damien Hirst
Maurizio Cattelan

Ecco allora che preferirei “leggere” questo ultimo lavoro di Damien Hirst con gli occhiali di Friedrich Schelling che scriveva “L’arte deve iniziare con consapevolezza e terminare nell’inconscio, cioè oggettivamente. L’Io è consapevole rispetto alla produzione, inconscio rispetto al prodotto”.

Quanto alla fruizione di questa mostra veneziana, da non perdere, consiglio di accettare il soccorso e la memoria di Paul Ricoeur che ricordava come “non esiste mai un linguaggio simbolico senza ermeneutica; là dove un uomo sogna e delira, un altro uomo si fa avanti per interpretare”.

Ciò che ancora molti non hanno compreso è che la sola attività creativa senza scopo -a prescindere dal mercato o dalla storia che la origina- fa in qualche modo (grazie all’universalità kantiana del Giudizio riflettente) cessare il tempo.
Ed è ancora Ricoeur che suggerisce: “Quando il tempo si ferma ciò che viene messo a nudo è il letto del fiume, la roccia del tempo astrale”.

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Damien Hirst, The Severed Head of Medusa
Image: Photographed by Prudence Cuming Associates © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved, DACS/SIAE 2017

 

 

DAMIEN HIRST – TREASURES FROM THE WRECK OF THE UNBELIEVABLE
09/04 – 03/12/2017
PALAZZO GRASSI, PUNTA DELLA DOGANA
VENEZIA
www.palazzograssi.it

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  • Io suggerirei come minimo di vedere la mostra (possibilmente non in fotografia) prima di addentrarsi in dottissime e sofisticatissime speculazioni filosofiche che, a mio parere, sono in questo caso totalmente fuorvianti. A me pare sinceramente che il corto circuito d’avvitamento e d’avvilimento si sia prodotto in chi scrive, perché non ha colto il senso profondo dell’operazione di Hirst (sempre a mio modestissimo avviso). Ma davvero, come si può recensire una mostra senza averla vista?

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