Alla notizia della morte di Maradona, tanti tifosi si sono riversati presso lo Stadio San Paolo illuminato per l’occasione. I più giovani sotto lo splendido murale di Jorit. Ma i napoletani “vecchia maniera” erano tutti sotto il murale storico dei quartieri spagnoli. Ecco la sua storia che merita di essere raccontata
Tutti abbiamo visto le immagini dei napoletani che dopo la notizia della morte di Maradona si sono istintivamente riuniti sotto lo storico murale dei quartieri spagnoli dedicato alla leggenda del calcio che ha scritto la storia di Napoli “come Masaniello, Totò e Pino Daniele“.
Maradona è stato un artista del calcio. “Inarrivabile come Caravaggio”
Nei quartieri spagnoli vicino lo storico murale dedicato al Pibe de Oro infatti altri murales ritraggono i giganti della cultura napoletana come Totò, Troisi e Pino Daniele. Del resto, a certi livelli, la giocata geniale diventa arte. E quanto l’immagine di Maradona rappresenti non solo l’amato campione di calcio ma una parte importante del tessuto culturale della città è stato chiaro perfino al noto critico d’arte Vittorio Sgarbi che nel 2017 organizzò la mostra “Il museo della Follia. Da Goya a Maradona” presso la Basilica di Santa Maria Maggiore alla Pietrasanta. “San Gennaro, il cui sangue si scioglie periodicamente, rende folli i napoletani nella superstizione mentre Maradona li ha resi folli di gioia”, disse durante un’intervista. Dopo la notizia della scomparsa del campione argentino, Sgarbi ha poi definito Maradona “inarrivabile, come Caravaggio“.
La storia di un murale, di un ragazzo e di un quartiere
La storia del murale dei quartieri spagnoli risale all’epoca del secondo scudetto del Napoli del 1990. Ed è una storia che merita di essere raccontata perché incarna perfettamente quello spirito popolare che fa di Napoli una città unica al mondo.
In quel murale la storia planetaria di Diego Armando Maradona si incrocia con quella di Mario Filardi, un giovane napoletano che all’epoca aveva poco più di vent’anni. Ma che tutti conoscevano a Napoli perché fin da piccolo si era rivelato il suo talento per il disegno. Un giovane che forse era troppo avanti per l’epoca che stava vivendo e che sentiva il bisogno perenne di viaggiare e scoprire con i suoi occhi il mondo che ora è a portata di click per tutti. Aveva praticamente girato il mondo svolgendo la mansione di cameriere qualificato ma ogni volta che tornava a Napoli, tutti i ragazzini facevano la fila per avere un suo Dragon Ball (il personaggio dei cartoni giapponesi) disegnato sul loro giubbetto Jeans.
Del resto il Maradona che avrebbe poi dipinto era rappresentato proprio come una sorta di manga nella veste di supereroe di un intero popolo. Lo abbiamo accennato, lui era avanti, anche dal punto di vista della ricerca artistica.
Un grido di riscatto e libertà
Aveva provato a studiare presso la scuola di Belle Arti ma aveva lasciato presto perché non voleva sentirsi imbrigliato in quelle impalcature mentali dalle quali cercava di sfuggire girando il mondo. La sua arte era libera ed è come un grido di libertà e riscatto, suo e della sua gente, lo splendido murale realizzato in pochi giorni in via Emanuele De Deo.
A raccontare l’impresa che ha scritto una pagina della storia di Napoli, hanno pensato la mamma e la sorella di Mario in un’intervista del 2016 al giornale “Il Napolista”:
“Il disegno lo fece tutto da solo – dice Teresa – sulla base di una piccolissima fotografia di Maradona. Fu una cosa grande. Era tifosissimo di Diego. Quel murale è nato per onorare Maradona perché ci aveva fatto vincere due scudetti. Un capo delle Teste Matte, soprannominato Bostik, organizzò la colletta di quartiere per realizzarlo e coordinò i ragazzi che da sotto lo aiutavano, ma la realizzazione fu interamente di Mario, l’artista fu lui”.
Ore e ore su una precaria impalcatura, mentre i ragazzi del quartiere gli passavano i colori e la notte con i fari delle macchine gli facevano luce per una no-stop massacrante durata due notti e tre giorni. Poi una grande festa, con tanto di fuochi d’artificio e interviste, anche a testate internazionali.
Declino e rinascita
All’euforia iniziale segue poi però la decadenza. Otto anni dopo una finestra abusiva viene aperta proprio sul volto del campione e nonostante le iniziali proteste di un intero quartiere, il murale finisce per essere quasi irriconoscibile, rovinato dall’incuria e dall’usura del tempo.
Fino a quanto nel 2016 un altro ragazzo del quartiere, Salvatore Iodice, decide di farlo restaurare, ovviamente non prima di aver chiesto il permesso ai parenti di Mario purtroppo deceduto a Zurigo sei anni prima. A disegnare di nuovo il volto di Dieguito – ormai completamente sbiadito – lo street artist argentino Francisco Bosoletti.
Il murale di Jorit
Un altro murale diventato molto popolare, ma con una storia ben diversa, è quella di Jorit, lo street artist che sta ormai ridisegnando il volto della città con i suoi monumentali murales. I napoletani più giovani ieri si sono dati appuntamento sotto lo splendido lavoro dell’artista che vede affiancato al volto di Maradona con i segni rossi da guerriero della “Human Tribe” quello di Nicolò, un bambino con lo spettro autistico.
Tanti altri sono i murales disseminati nei vicoli di Napoli così come in Argentina. Nelle palestre, nei campi di calcio, nelle piazzette dove i bambini giocano a pallone sognando di indossare la maglia numero dieci.
Epoche diverse, storie diverse che non si possono paragonare. Quella del murale dei Quartieri Spagnoli è una vicenda collettiva irripetibile. Come la leggenda di Diego Armando Maradona.